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Pubblichiamo alcuni argomenti relativi al passato del nostro quartiere tratti dai libri "Gioia di vivere a Villa del fuoco"
La mietitura a Villa del Fuoco di Pescara
    
La mietitura era una delle fasi più importanti della vita agricola di quel tempo. Veniva praticato con la massima cura....Certamente richiedeva notevole impegno da parte dei mietitori e delle mietitici che costituivano la maggioranza. Tuttavia la mietitura, come ogni altra attività agricola,
pur essendo abbastanza faticosa, non impediva di rendere felici i lavoratori che intonavano canti di vario tipo.
     I canti erano usuali in quel periodo in varie circostanze : lavori agricoli, ricorrenze, pellegrinaggi......I canti religiosi delle varie compagnie che di buon’ora passavano per la via principale della zona, la Tiburtina, terminavano al loro passaggio, diminuendo d’intensità quanto maggiormente si allontanavano. Quelli delle mietitrici duravano l’intera giornata ed allietavano tutti gli abitanti di Villa del Fuoco. A seconda della distanza i canti erano più o meno percettibili.
Bisogna, però, dire che i canti che si sentivano in lontananza non erano meno gradevoli di quelli dei campi che erano nella vicinanza.
     La gioia di vivere a Villa del Fuoco si poteva rilevare da ogni momento della vita quotidiana, da ogni stagione, da ogni attività lavorativa della zona ed i lavori campestri: la mietitura, la vendemmia, la sfogliatura delle “marrocche” e le varie attività ricreative che ne seguivano ne sono una dimostrazione. Al di là delle testimonianze locali vi sono quelle di alcuni abitanti della Provincia.
     Sono stato testimone ed intervistatore in diverse simulazione effettuate a Cavaticchi di Spoltore.
     Le mietitrici, guidate da alcuni esperti contadini che avevano il compito principale di organizzare il lavoro, di legare i covoni e costruire le biche, si avviavano a piedi o sui carri se il campo era lontano intonando canti a squarciagola.
     In genere i canti erano dialettali e, in prevalenza, dispettose, ma non erano esclusi quelli in lingua come “Quel mazzolin di fiori” .
     Il canto indica lo stato d’animo degli uomini non solo, ma anche degli animali. Quello degli uccelli in primavera e in estate ricrea e dà gioia anche alle persone afflitte.
     San Francesco mette in risalto durante la sua vita la purezza, la bellezza e tutta la gratitudine
che gli uccelli manifestano con il canto al Creatore. E tra gli scritti del Santo c’è la mirabile “Predica agli uccelli”, esseri mansueti che ascoltano silenziosi le sue parole.
     Gli occhi sono lo specchio dell’animo, il canto manifesta il suo stato. Importanza notevole assumevano tra i gruppi delle mietitrici i canti definiti “dispettosi”, perché mettevano in risalto gli aspetti negativi della squadra competitrice e le doti di quella di appartenenza.
     In un’aia della contrada Cavaticchi di Spoltore, nel corso di una simulazione, le mietitrici di Montebello di Bertona ne hano dato un esempio. Sono canti di botta e risposta che vengono improvvisati sul momento.
     La mietitura a mano avveniva da una sola giornata o più, a seconda della superficie coltivata a grano.
     Ai mietitori erano consentite poche pause per il riposo durante la giornata, che doveva essere considerata dall’alba al tramonto proprio nel periodo posteriore al solstizio estivo che sta ad indicare la persistenza del sole in cielo.
    Non ricordo se in qualche altra parte dei miei scritti ho mai citato la satira di Orazio in cui il poeta metteva a confronto le ore lavorative del contadino con quelle dell’avvocato.
Un contadino si era recato all’alba da un avvocato. Giunto all’uscio dell’abitazione, bussa, ma tarda ad avere risposta.
     Il sole era ormai sorto dietro le colline ed il contadino asserì : “Il sole è alto e l’avvocato non ancora si sveglia”.
     L’avvocato contrariato per essere stato disturbato a sua volta : “Chi è quel seccatore che viene ad importunarmi all’alba ?”
    Non è l’unica satira di Orazio a mettere in risalto le lagnanze dell’uomo.
    Giove offre ai mortali l’opportunità di mutare mestiere, ma l’uomo, pur lamentandosi, rimane saldo a quello che svolge quotidianamente.
    Il lavoro del contadino è continuo durante le ore di luce naturale : dall’alba al tramonto. In alcuni casi dura anche oltre il tramonto quando bisogna provvedere alle bestie : assistenza durante il parto di una mucca, di una cavalla, di una pecora, fornitura di mangime, abbeveraggio ed ogni altra attività richiesta dall’allevamento degli animali senza escludere la cura, descritta altrove, nella preparazione dei vitelli, agnelli ed altri capi di bestiame allevati per la loro vendita nelle fiere.
     Nelle settimane precedenti la data della fiera i proprietari si dedicano alla preparazione dell’animale, allevato per la vendita. Nella notte che precede il giorno della fiera c’è tutto un rito per prepararlo, lustrarlo e bardarlo.
    La giornata del contadino, dell’agricoltore, del coltivatore nei periodi estiviera intensa, laboriosa, faticosa, senza soste prolungate.
     La prima sosta durante la mietitura era per la “stozza”. In piedi i mietitori consumavano il primo pasto, consistente in due fette di pane unte o, nei peggiori dei casi, strofinate a sardine.
      Tempo brevissimo di riposo : la stozza era portata da una massaia, tra le più giovani, che rimaneva nella casa colonica per trasportare le vivande fino al campo di grano.
      Alla cucina rimanevano le donne più esperte, le più anziane o, forse, quelle che avevano la maggiore responsabilità della conduzione della casa.
      Ricordo con ammirazione, simpatia ed affetto filiale le figura di zia Adelaide, moglie di Giovanni Di Brigida, sorella di Domenico Di Russo, alla cui casa e famiglia sono rimasto sempre
profondamente legato. Non so se sono riuscito a rendere noto  tutti i sentimenti che durante i periodi più belli della vita, la fanciullezza, la puerizia e l’adolescenza,
nutrivo per la casa di “Ruscitte” ed i suoi abitanti che erano al termine dell’attuale via Arrone.
 
Alla prossima puntata.
 
Plinio Pelagatti
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