La trebbiatura a Villa del Fuoco
In ogni aia a luglio, nel periodo della festa della Madonna del Fuoco, avveniva la trebbiatura
Eugenio Ciancetta, il macchinista e proprietario dei mezzi nessari a tal funzione, stabiliva i turni, compilando una specie di calerndario.
Ogni famiglia attendeva con ansia il proprio turno.
I preparativi erano meticolosi : tutto doveva essere previsto :
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i sacchi per il trasporto del grano trebbiato
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il granai con il proprio cassone
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l’aia completamente libera
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spazio idoneo all’allestimento della “serra”, il pagliaio vero e proprio.
Ma il personale doveva essere adeguatamente reclutato, anzi forse era lo stesso per tutto il
periodo della trebbiatura in ogni casa colonica.
Ricordo sicuramente alcuni elementi essenziali perla trebbiatura :
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il macchinista (Eugenio per Villa del Fuoco)
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i “manuppelari”, uomini addetti a lanciare con una forca i covoni sulla trebbiatrice
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il porgitore, l’uomo che aveva la funzione di consegnare i covoni all’imboccatore
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l’imboccatore, l’uomo che doveva slegare i covoni e introdurli nella bocca della trebbiatrice
(Un mio prozio, Gabriele Pelagatti, perse una mano facendo l’imboccatore)
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i costruttori del pagliaio, specialisti che si dedicavano ad innalzare la “serra” che in quel periodo si misurava a “canne”
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l’addetto a raccogliere il grano trebbiato in sacchi
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l’addetto al trasporto dei sacchi dall’aia al granaio.
Tutta la famiglia era impegnata per rendere agevole l’andamento della trebbiatura che poteva durare alcune ore ed alcune volte l’intera giornata a seconda della quantità di grano da trebbiare.
I grandi proprietari avevano il diritto di effettuare la trebbiatura bella nella propria tenuta ; quelli minori dovevano spesso unirsi tra di loro oppure essere ospitati da qualche vicino.
Uno dei compiti principali era il pasto che avveniva al termine dell’attività, ma l’assistenza era continua sotto ogni punto di vista.
Grande era l’attesa di uno dei più grandi avvenimenti dell’anno.. Anche i bambini erano felici. La partecipazione alle varie attività era diretta. Di qui l’importanza educativa data da alcuni pedagogisti, come Dewey e Freinet, alla vita della famiglia patriarcale e contadina in genere.
I ragazzi e gli adolescenti attendevano con ansia sulla strada l’arrivo del trattore che trainava la trebbiatrice.
Quando lo vedevano apparire in fondo alla strada correvano ad avvertire il padrone di casa che provvedeva ad impartire gli ultimi ordini e a fare tante raccomandazioni.
I giovani accompagnavano la macchina , allora poco veloce, saltellando intorno fino all’ingresso dell’aia ed alcuni di loro riuscivano, eludendo la sorveglianza, a percorrere qualche centinaio di metri aggrappati alla parte posteriore della trebbiatrice.
All’interno dell’aia bisognava disporre il complesso dei macchinari per rendere il più agevole possibile la trebbiatura.
Il pagliaio del grano era già stato diligentemente issato su uno dei margini dell’aia e la trebbiatrice doveva essere posta parallelamente ad esso ed a una distanza tale da consentire al porgitore di lanciare i covoni con relativa facilità.
Il macchinista, appena dopo l’arrivo, fa adeguate manovre per disporre la trebbiatrice nella posizione migliore ed il trattore davanti ad essa, ad una distanza tale da rendere la cinghia di trasmissione abbastanza tesa, ma non t6anto da impedire lo scorrimento.
Era questa un’operazione che impegnava notevolmente il manovratore ed i suoi assistenti.
Alcune volte richiedeva più di un tentativo e, quando finalmente si faceva la prova definitiva per la funzionalità, l’operatore l’annunciava con un breve suono della sirena.
I meccanici venivano invitati in cucina per la prima colazione.
Non ricordo se il motore scoppiettante rimaneva acceso fino al termine della colazione per convalidare l’efficienza della messa a punto della trebbiatrice, ma certamente un suono più prolungato della sirena annunciava che tutto era pronto per iniziare i lavori della trebbiatura.
Ogni uomo era al suo posto.
Alcuni si ponevano sulla “serra” (pagliaio del grano) e lanciavano i covoni sulla trebbiatrice.
Erano quelli che ho definito “manuppolari”. Il porgitore raccoglieva i covoni e li consegnava all’imboccatore che aveva il compito di sciogliere “li manuppoli” (covoni) e di accompagnarli in seno alla trebbiatrice che separava i chicchi di grano dalla paglia e parzialmente dalla “came” (pula).
Nella parte posteriore della trebbiatrice l’uomo addetto a raccogliere il grano poneva nelle bocchette il sacco, che, una volta pieno, veniva trasportato nel granaio.
Intanto la paglia veniva raccolta dagli esperti della “serra” (pagliaio) che ne curavano con la massima attenzione la costruzione. La “serra” doveva essere resistente a qualsiasi calamità naturale per un anno intero.
Era una vera e propria opera d’arte il pagliaio e costituiva uno spettacolo singolare che gli esperti offrivano a tutti i presenti, trebbiatori e non.
Durante la trebbiatura si sentiva di tanto in tanto il sibilo della sirena che invitava gli uomini
alla pausa per un particolare rinfresco.
Due o tre massaie porgevano ai vari addetti “ ‘na comperzione” ed un bicchiere di vino, ma più spesso acqua con succo di limone che cercava di lenire l’arsura e sollievo alla gola che veniva invasa dalla “came” o meglio dal pulviscolo da essa derivante.
Un lungo sibilo della sirena indicava il termine della trebbiatura.
Gli uomini che avevano preso parte alla trebbiatura (è da considerare che la maggior parte della trebbiatura veniva svolta prevalentemente da uomini, contrariamente alla mietitura) si recavano a consumare il meritato pasto ed i macchinisti sganciavano la cinghia ed agganciavano la trebbiatrice al trattore che era pronto per il giorno dopo.
A cena terminata, si aprivano le danze che duravano unitamente ai canti tradizionali fino a notte inoltrata.
Plinio Pelagatti